Facebook e la diffamazione attenuata

Articolo pubblicato su "Il Quotidiano del Molise" del 27-02-2017

Articolo pubblicato su  "www.isernianews.it"  il   25-02-2017

Facebook-diffamazione

(I paradossi digitali della giurisprudenza)

Tra tutti gli ambiti professionali, quello del Diritto sembra “soffrire” particolarmente l’avvento e l’evoluzione delle nuove tecnologie info-telematiche. Abituati da sempre ad interpretare la realtà analogica e ad utilizzare strumenti “tradizionali”, come carta e penna, gli ambienti giuridici trovano grandi difficoltà ad adeguarsi al mondo digitale, ad un nuovo modo di trattare informazioni e di comunicare. Il verificarsi di nuove condotte criminose commesse in rete, attraverso smartphone e computer, continuano a “spiazzare” il nostro legislatore, costretto a riempire vuoti legislativi con “analogie legis” e “iuris”.

Un caso emblematico riguarda il fenomeno della c.d. “Diffamazione Telematica”, ovverosia quella diffamazione commessa in rete, soprattutto su social network come Facebook. L’ordinamento giuridico italiano considera come reato, nell’art. 595 del codice penale, il comportamento di colui che deliberatamente e volontariamente, comunicando con più persone, offende la reputazione di un individuo che, però, non è presente nel momento dell’offesa e, pertanto, non è in grado di percepire l’insulto. Sia la maggior parte della Dottrina che della stessa Giurisprudenza, qualificano la Diffamazione come un “reato di danno”, un reato, cioè, che si configura ogni volta che, più persone, percepiscono la volontà di offendere la reputazione altrui; reato che viene, pertanto, punito con al massimo 1 anno di reclusione o con una pena pecuniaria che non può superare € 1.032. Tuttavia, nel suo 3° comma, l’art. 595 c.p. prevede delle aggravanti, tra cui quella di arrecare offesa impiegando, come strumento, “la stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità”. In questo caso, l’utilizzo di siffatti canali comunicativi giustificherebbe un incremento di pena, cioè una reclusione che va da 6 mesi a 3 anni ed una multa che non può mai essere inferiore ad € 516.

Internet e, in modo particolare, i Social Media possono diventare canali, molto più efficaci della carta stampata, per danneggiare l’onore di una persona. Permettono, infatti, di raggiungere un numero imprecisato di individui, rovinando, in modo altamente esponenziale, la reputazione di chiunque. Contrastarne l’eco è particolarmente difficile; è lavoro per esperti professionisti che setacciano l’intero web con lo scopo di ricostruire l’immagine compromessa di una persona. Dottrina e Giurisprudenza hanno sempre concordano sul fatto che nella nozione di “altri mezzi di pubblicità”, di cui al comma 3° dell’art. 595 c.p., possono essere compresi tutti gli altri mezzi divulgativi, e tra questi Internet (vedasi la sentenza della Cass. pen., n. 4741/2000). Ma la rete è in costante evoluzione ed, oggi, offre servizi sempre più potenti ed invasivi!

Se col termine “Stampa” si è sempre fatto riferimento soprattutto alla “professionalità” di chi scrive, è anche vero che il giornalista si serve, per il suo lavoro, non solo del suo giornale, ma anche di altre piattaforme, come Facebook e Youtube. In questo caso, allora, l’abuso di un siffatto mezzo comunicativo dovrebbe portare il nostro legislatore a rivedere le sue iniziali posizioni. La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 4873, emessa nel Febbraio di quest’anno, continua ad equiparare Facebook ad un semplice mezzo pubblicitario, escludendo (ancora) la possibilità che esso sia (o possa diventare) un mezzo stampa! Per questo motivo, qualsiasi diffamazione commessa utilizzando un simile strumento, è da ritenersi, secondo la legge, una diffamazione “attenuata”, nel senso che non produrrebbe effetti sanzionatori ben più severi di quelli di cui all’art. 595 c.p.; quelle sanzioni, cioè, che sono, invece, previste dalla Legge n. 47 del 1948, la c.d. “Legge sulla stampa”.

Con simili decisioni e scontrandosi, ancora una volta, con una realtà cambiata rispetto a quella prevista da regole non più attuali, regole che sarebbe opportuno rivedere e riequilibrare, la Corte rischierebbe di dare al professionista della stampa una pericolosa scappatoia nonché un effettivo “via libera” ad un “abuso professionale” dei Social Media.

I-Forensics Team

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